LI CHEVALIER

LI CHEVALIER

Testo di Daniele Pittèri Diretori Santa Maria della Scala Siena

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l buio delle anime perdute  e il chiarore del conforto estetico

 

Li Chevalier la ho incontrata la prima volta nella primavera dello scorso anno.

Non la conoscevo, nonostante la sua presenza alla Biennale del 2016, nonostante la bella mostra al Macro, nel 2017. Colpa mia non conoscerla. Soprattutto: peggio per me non conoscerla. Conoscendola e scoprendo la sua opera, ho capito che mi ero perduto qualcosa. E al contempo ho capito che avevo avuto la fortuna di trovare ciò che mi ero perduto.

 

Guardando le opere di Li ho sentito suonare. Ho sentito sprigionarsi ed emergere innumerevoli melodie dai suoi quadri e dalle sue installazioni. Partiture polifoniche, antichissime e modernissime al contempo. Di origini antiche, dimenticate per secoli, riemerse nel Novecento. Partiture che, nelle opere di Li, si rivelano poco alla volta. L’apparente semplicità dei suoi quadri, continuando a guardarli, si arricchisce progressivamente di nuovi significati, suoni diversi che si evolvono assieme eppure distintamente.

 

C’è molta musica nel lavoro di Li Chevalier, perché c’è molta musica nella sua vita e nella sua storia. E anche se Li oggi soprattutto dipinge, la musica che è dentro di lei si trasferisce sulla tela o nelle sue installazioni. Talvolta diventa un elemento stesso delle sue opere, palese. Talaltra è lì, muta eppure udibile distintamente.

 

Obscure clarté  non è il titolo di una mostra.

È di più. Molto di più.

È la chiave per comprendere un universo espressivo.

È la bussola per lo spettatore che si avventura fra le opere.

È un falso ossimoro, perché l’oscurità e la chiarezza son un’osmosi, non un’antitesi.

È il buio delle anime perdute dei nostri giorni e il chiarore del conforto estetico.

È la semplicità che si fa emozione.

È la profondità del colore che si trasfigura in interiorità.

È la combinazione di linguaggi diversi, di derivazioni e origini lontane e antichissime.

È la musica, è la pittura.

È ciò che si vede e ciò che non si vede.

È ciò che si sente e ciò che non si sente.

È l’occidente e l’oriente.

È Li Chevalier.

 

C’è bisogno di luoghi adatti per accogliere questo insieme così complesso e affascinante. 

C’è bisogno di luoghi spogli ed essenziali, capaci di includere ed avvolgere e, al contempo, rarefarsi, senza imporsi, lasciando emergere le opere di Li. Che siano austeri conventi o fabbriche dismesse poco conta. Ciò che davvero conta è che abbiano una disposizione a generare evocazioni e ad accoglierle

 

Con tutte le storie forti e talvolta ingombranti che le pietre del Santa Maria della Scala portano con sé, non è stato semplice trovare la giusta collocazione per le opere di Li Chevalier, nonostante una parte rilevante di esse sia stata creata per questa occasione.

La abbiamo trovata quasi per caso: un luogo accogliente ed evocativo, eppure spoglio; un luogo semplice eppure complesso, un luogo buio, eppure chiaro.

Un luogo che sembrava la stesse aspettando.

 

Daniele Pittèri

Direttore

Santa Maria della Scala



24/05/2018
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